COACH O PERSONAL TRAINER?

Lo so, cito troppo spesso M.Rippetoe, quello che dice mi piace sul serio, mi identifico molto e quando leggo quello che scrive vedo me stesso sul campo avere a che fare con persone a cui sto insegnando a muoversi in un certo modo.
In questo articolo, https://tinyurl.com/y6udsn5z “The Profession of Barbell Coaching”, coach Rippetoe sottolinea la differenza tra un allenatore e un personal trainer. Quali sono le differenze e le competenze che si acquisiscono e come si applicano sul campo, quali sono gli elementi che un coach è chiamato a risolvere nell’ottica della performance del suo atleta e il livello di dettaglio e conoscenza della biomeccanica del gesto che è richiesta per poter trasmettere la sua idea di movimento a chi si affida a lui.
Nell’analizzare questi concetti sembrerebbe che, al contrario, la figura del personal trainer venga messa a livello di importanza, un gradino più in basso rispetto a quella blasonata di allenatore; se da una parte il coach è il dentista, il personal trainer viene paragonato al rappresentante di dentifricio.
In realtà Rippetoe sa benissimo che tutte e due le professioni sono difficili e presentano problematiche e esigenze diverse; il coach ha a che fare prima di tutto con persone motivate, in genere atleti che si rivolgono a questa figura perché hanno come obbiettivo il miglioramento di una performance, di un gesto che è già acquisito e che necessita di raggiungere un livello più elevato. Gli atleti hanno alle spalle anni di allenamento e pratica dello sport in questione, nel nostro ambiente della pesistica e tutte le sue derivazioni, chi si affida a un coach, sa già cosa deve fare e cosa lo aspetta nel percorso che decide di affrontare con il suo preparatore.
In genere gli atleti sono persone in salute, delle macchine che hanno semplicemente bisogno di essere messe a punto per risultare più performanti, degli aeri Mig puntati dritti verso un obbiettivo senza possibilità di uscire dalla traiettoria impostata.

Al contrario un personal trainer si trova spesso a lavorare con persone svogliate, in genere soggetti totalmente decondizionati che non hanno mai fatto, o fatto per periodi brevi o discontinui, attività fisica in vita loro. Le problematiche che si presentano in questi casi sono una miriade, e tutte richiedono una conoscenza non meno qualificata rispetto a quella del coach.
L’aspetto psicologico-motivazionale richiede un’attenzione maggiore rispetto a quella dell’allenatore; riuscire a convincere la persona ad allenarsi è spesso uno dei primi passi, lo so sembrerebbe scontato ma non lo è, che un personal trainer deve far fronte per iniziare un percorso con un determinato soggetto. Acquisire la fiducia della persona che stiamo allenando cercando di fare ottenere dei risultati, molto spesso avendo a disposizione solo due ore settimanali di allenamento (…se va bene), è un’abilità che un pt deve saper sviluppare in questo ambiente.
Questo non vuol dire che le persone che seguiamo in qualità di personal devono essere trattate come atleti di serie b, o sui quali non è possibile infondere una passione per l’allenamento tale che lo stesso possa evolvere a livelli di difficoltà più alti, la cosa principale è non confondere le nostre competenze e saper adattare le nostre conoscenze a chi si ha davanti.

Troppo spesso mi sono imbattuto in ragazzi con un livello di preparazione (e di forza) talmente basso ma con conoscenze tecniche decisamente fuori dal comune, che spesso hanno fatto sorgere in me la convinzione che la mancanza di mediazione tra gli strumenti di informazione digitali o i libri di settore e la pratica applicata dell’allenamento in sala attrezzi, abbia creato una schiera di persone acculturate ed “esperte” a cui manca però l’elemento fondamentale di crescita: il confronto.
Una persona che si allena e si documenta per migliorare ma che lo fa in contesti isolati o non consoni, dove con questo termine voglio indicare ambienti in cui non sono presenti persone altrettanto motivate o desiderose di migliorarsi, otterrà sempre e comunque meno risultati rispetto alla stessa persona che al contrario frequenta ambienti dove questa voglia è presente e scontata.
Allo stesso modo coach che si ritrovano ad allenare in contesti fitness molte volte cercano di applicare dei protocolli di insegnamento che sono stati di successo in passato con degli atleti, ma si rivelano fallimentari nel momento in cui si trovano a che fare con soggetti di ambienti fitness. Stesso discorso vale per il trainer di palestre commerciali che invece si documenta e fonda le sue conoscenze solo su letteratura specifica, più orientata al coaching di alto livello che alla signora Pina del caso.

Questa è stata la riflessione che facevo qualche giorno fa con dei colleghi durante la pausa pranzo, che avendo letto un post sulla pagina del project in merito al libro mio e di Valerio, ci facevano notare che i primi a mettere per scritto la propria esperienza in ambito di insegnamento delle alzate del PL, in realtà fossimo noi.
Benché sia io che il mio collega Valerio siamo stati atleti, e il sottoscritto in passato abbia allenato anche dei powerlifter, effettivamente abbiamo voluto mettere nero su bianco la nostra esperienza per quanto riguarda l’insegnamento delle alzate di forza (squat, panca e stacco) a persone che sono dei semplici appassionati di pesi, che frequentano dei centri fitness e non hanno la minima voglia e intenzione di dedicarsi all’agonismo in questo sport.
Nel libro trovate prevalentemente la nostra esperienza nell’insegnamento degli esercizi di forza, partendo dal presupposto che le esigenze di un atleta principiante non sono mutuabili con quelle di un intermedio e di un avanzato.
In pratica abbiamo stilato un vero e proprio metodo d’ insegnamento che non è altro che quello che facciamo a lavoro tutti i giorni con i nostri clienti; non si tratta di un metodo universale.
Chi è nell’ambiente sicuramente adotterà una sua propedeutica e metodologia sviluppata nel corso degli anni: semplicemente questa è la nostra e abbiamo voluto condividerla scrivendo un testo, che fino a pochi mesi fa, ci sentiamo di dire, mancava nel panorama italiano.
Molto dell’idea di base è nata dalla lettura dei libri di M.Rippetoe, in particolare Starting Strength, ma anche dagli articoli che abbiamo scritto sul nostro blog e che hanno costituito la spina dorsale dell’intero libro.
A distanza di qualche mese mi sento di affermare con assoluta certezza, che si tratta di un testo che mancava e del quale, nel nostro ambiente (personal trainer, allenatori, e chiunque insegni l’allenamento con sovraccarichi), si sentiva il bisogno.

Tornando quindi all’articolo di coach Rippetoe sull’importanza dell’occhio attento dell’allenatore e sul valore aggiunto dell’esperienza nell’allenamento di atleti di livello, mi sento soltanto di aggiungere che se questi sono i requisiti che secondo me deve possedere un coach di qualsiasi sport, altrettanto lo stesso dovrà imparare ed impostare la propria supervisione critica e puntuale sviluppando un altro tipo di visuale nel momento in cui la persona che segue è un totale principiante. Al netto della bro-science e del sentito dire, saper adattare le conoscenze e competenze a seconda del livello della persona che seguiamo, oggi più che mai è di importanza predominante.

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